Creare un ambiente di lavoro sicuro significa riconoscere che la violenza può assumere forme diverse, spesso sottili, e che riguarda da vicino ogni organizzazione. Per questo è fondamentale promuovere una cultura in cui le persone sappiano identificare comportamenti inappropriati, sentano di poterli segnalare senza timore e trovino processi chiari che garantiscano ascolto, tutela e rispetto della dignità di ciascuno.
1) Avvocatessa, cosa intendiamo per violenza nel luogo di lavoro e come possiamo riconoscerla?
A livello internazionale, l’Organizzazione Internazionale del Lavoro definisce la violenza nel lavoro come “comportamenti, pratiche o minacce che mirano, portano o sono suscettibili di portare a un danno fisico, psicologico, sessuale o economico” (Convenzione ILO n.190).
Per riconoscerla e distinguerla da un normale confronto professionale è essenziale conoscere le diverse forme con cui può manifestarsi, come abuso di posizione gerarchica, mobbing, molestie, intimidazioni e pressioni indebite. Le fonti internazionali (come ILO e linee guida UE) e in alcuni casi i documenti interni aziendali, come il Codice Etico, offrono criteri chiari per orientarsi e non normalizzare comportamenti lesivi.
2) Quali sono oggi le forme di intimidazione più frequenti e meno denunciate?
Oggi la forma più sottile e diffusa è il pressing psicologico: pressioni indebite, svalutazioni ripetute o richieste che sfruttano la posizione gerarchica per ottenere predominio. Può manifestarsi nel superiore che alza continuamente l’asticella delle richieste, in chi isola una persona dalle informazioni o dai progetti importanti, o in commenti svalutanti mascherati da “scherzi”. Sono dinamiche difficili da denunciare perché non sempre eclatanti, ma incidono profondamente sulla dignità e sul benessere di chi le subisce.
3) Come si tutela davvero chi decide di segnalare una violenza o un comportamento ostile, e perché anche i testimoni spesso esitano a farlo?
La paura di ritorsioni è il motivo principale per cui molte persone (vittime o testimoni) esitano a segnalare forme di violenza sul lavoro. Per questo per l’azienda è essenziale disporre di strumenti formali che garantiscano protezione reale: in GESCO ad esempio ci sono Codice Etico e Politica per la Parità di Genere, che definiscono regole, responsabilità e tutele – e strumenti per inoltrare segnalazioni che proteggono l’anonimato di chi si espone e impediscono qualunque forma di ritorsione. Sapere che esiste un processo strutturato e sicuro permette alle persone di parlare senza paura e favorisce una cultura della responsabilità condivisa.
4) Quale messaggio si sente di rivolgere alle donne che oggi vivono situazioni di violenza sul lavoro?
Il primo passo è informarsi sugli strumenti disponibili nel proprio contesto lavorativo: alcune aziende dispongono di Codice Etico, procedure interne o canali di segnalazione anonima, altre no, ma questo non deve fermare la denuncia. È importante parlarne sempre, con le risorse umane, con un referente esterno, con le associazioni o con le forze dell’ordine, perché nessuna forma di violenza va normalizzata.
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